
Gli stadi di calcio sono da sempre degli anticipatori e amplificatori di problematiche presenti all’interno della nostra società e il razzismo e la xenofobia trovano spesso, purtroppo, una loro espressione. Dalle frasi ingiuriose di alcuni striscioni come quello “Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case”, al verso della scimmia nei confronti di giocatori neri. Ma spesso non sono solo i tifosi ad avere atteggiamenti razzisti: allenatori che discriminano i gay, giocatori che in campo si offendono per la loro provenienza etnica, media che usano metafore a sfondo razziale. Cosa bisognerebbe fare? Per combattere questo fenomeno diffuso nel mondo del calcio nella sua interezza, le sole misure repressive non servono se non vengono affiancate da misure di carattere preventivo ed educativo.
Proprio con questo scopo nel 1999 è nata la rete FARE (Football Against Racism in Europe) che in un unico network europeo e transnazionale raccoglie oltre 100 organizzazioni che s’impegnano a combattere il razzismo e le discriminazioni nel calcio.
In Italia le due organizzazioni di riferimento per il FARE sono il “Progetto Ultrà – Archivio sul Tifo” di Bologna e la “UISP – Unione Italiana Sport per Tutti”.
L’obiettivo principale del FARE è quello di sensibilizzare e prendere posizione contro qualsiasi forma di discriminazione nello sport, sul campo o tra i tifosi: razzismo in primis, naturalmente, ma anche pregiudizi legati al sesso, alla cultura, alle religioni o a qualsiasi altro fattore. Per raggiungere questo obiettivo la rete FARE organizza e promuove campagne che vedono così la partecipazione di varie organizzazioni antirazziste, impegnate nello sport come nel sociale, e di numerose tifoserie che decidono di prendere posizione contro il razzismo: attraverso coreografie negli stadi, dando vita a iniziative che coinvolgono le comunità di immigrati locali, promuovendo attività nelle scuole per sensibilizzare i più piccoli su queste tematiche, stimolando la partecipazione attiva dei club e delle federazioni.
In cinque anni di attività è riuscita anche a ottenere il riconoscimento della UEFA, che negli ultimi anni si sta impegnando sul versante della sensibilizzazione delle proprie Federazioni verso una maggiore considerazione delle attività promosse dalla base. Infatti, sempre più spesso negli stadi alcuni gruppi di tifosi si mobilitano per promuovere messaggi antirazzisti, per eliminare dalle proprie curve fenomeni di discriminazioni e in alcuni casi trasferiscono queste attività anche fuori nelle proprie città. Il razzismo è anche uno dei temi affrontati nella relazione sul futuro del calcio professionistico, in Parlamento Europeo e alcuni deputati del gruppo del partito popolare europeo hanno chiesto "misure più severe contro ogni atto di razzismo nel calcio" e ha invitato l'UEFA e le federazioni calcistiche nazionali, ad " applicare regole disciplinari in modo coerente, fermo e coordinato". Verso un calcio senza spettatori? Imporre partite a porte chiuse o con la partecipazione della sola tifoseria casalinga, in modo da garantire l'assenza di violenza, può rappresentare una soluzione temporanea per arginare nel breve questo problema, ma c'è bisogno di altre misure nel medio-lungo periodo. Il governo italiano è stato costretto dalla regola dello "show must go on" a tutti i costi, a fermare il campionato solo per una domenica, applicando nell'immediato divieti in stadi non in regola con gli standard di sicurezza. Ma il problema di fondo resta e c’è bisogno di agire subito. Anche se ovviamente la strada da percorrere è ancora lunga, queste attività hanno dimostrato come sia possibile ottenere dei risultati visibili e soprattutto duraturi. La discriminazione nasce dalla non conoscenza, dalla paura del diverso, per questo attività che vanno nella direzione di creare punti di incontro e confronto, di scambio e di conoscenza reciproca sono i soli che nel tempo producono dei reali cambiamenti.
Il calcio, e lo sport più in generale, viene considerato uno strumento che supera le barriere per il suo linguaggio non verbale, per la semplicità del gioco e la passione che riesce a suscitare. Ma lo sport vive le contraddizioni presenti nelle nostre società e finché non si genererà un cambiamento radicale nel modo di pensare finché le diversità verranno considerate una ricchezza e non una barriera, episodi di razzismo saranno sempre visibili.
Occorre, quindi, puntare sull’educazione e la sensibilizzazione, dare voce alle attività che vengono svolte dalle curve non solo puntando l’indice accusatore verso le più razziste, ma soprattutto mettendo in luce quelle che si impegnano in tutta Europa per ricordarci che un altro calcio è possibile. Solo in questo modo sarà possibile arrivare a una società multiculturale e rispettosa dei diversi stili di vita, colori, culture.
